martedì 12 gennaio 2016

Il recupero di calore termodinamico



Tra le varie metodologie di recupero di calore negli impianti di ventilazione meccanica controllata (VMC) si colloca il "Recupero di calore termodinamico" che funziona in modo completamente diverso dai normali recuperatori di calore utilizzati nelle UTA o nei sistemi di ventilazione forzata.

I normali recuperatori di calore riutilizzano parte del calore contenuto nell'aria di espulsione attraverso lo scambio di calore tra aria in ingresso ed aria in uscita ottenuto tramite l'utilizzo di setti di separazione dei flussi o sistemi ruotanti (recuperatori entalpici o rotativi) o attraverso l'uso di batterie di scambio termico e pompa di circolazione.

Mentre ai primi si associano percentuali di recupero dell'ordine del 70-80 o anche 90% con i recuperatori a batterie si raggiunge al massimo il 50% (e solo calore sensibile); il vantaggio di quest'ultimi è che i flussi di aria in ingresso ed in uscita non si incrociano mai in nessun modo, quindi è possibile recuperare calore anche da aria "inquinata" come quella di espulsione dei servizi igienici o delle cucine. Come si dice: piuttosto che niente meglio piuttosto....

I recuperatori termodinamici utilizzano un metodo completamente diverso per recuperare calore: invece che scambiare calore in vari modi tra aria in ingresso ed aria in uscita da un ambiente condizionato, sfruttano l'aria in uscita per alimentare la pompa di calore destinata alla climatizzazione degli ambienti.

Per adesso questa soluzione l'ho trovata applicata solamente dalla CLIVET che propone delle macchine tipo Roof Top ma destinate a funzionare anche in ambienti chiusi, non necessariamente all'aperto, che utilizzano l'aria ripresa dagli ambienti condizionati per riscaldare/raffrescare l'evaporatore/condensatore in inverno/estate.

I vantaggi di questo sistema sono molteplici:

1) La Pompa di Calore destinata alla climatizzazione degli ambienti funziona a temperatura costante che non dipende dalle condizioni climatiche esterne: in inverno funziona sempre ad una temperatura vicina ai 20 °C ed in estate ad una temperatura di circa 26 °C cioè la temperatura degli ambienti interni da dove viene espulsa l'aria.
2) L'efficienza della macchina ne guadagna moltissimo sia come COP che come EER visto che in inverno si lavora con temperature molto superiori ai 7 °C ed in estate molto al di sotto dei 35 °C, temperature queste prese come temperature limite da tutti i costruttori di Pompe di Calore per determinare le condizioni standard nella misura di COP ed EER.
3) In inverno si evitano tutti i problemi legati ad i cicli di sbrinamento visto che le temperature di esercizio non scendono mai sotto lo zero.
4) Si possono utilizzare per il recupero di calore i flussi di aria provenienti da zone "inquinate" come i servizi igienici e le cucine, sfruttando l'aria che deve essere estratta per assolvere alla norma UNI 10339 che prevede i classici 8-10 vol/h per i servizi igienici.

Macchine di questo tipo sono estremamente compatte (analogamente ai Roof Top) comprendendo al loro interno sia la UTA che la Pompa di Calore, evitando il collegamento tra UTA e Pompa di Calore idronica da realizzare con tubazioni e pompe di circolazione per alimentare le batterie dell'UTA; possono essere posizionate anche in ambienti chiusi (locali tecnici, tunnel di servizio, ecc...) e presentano efficienze in termini di COP ed EER molto elevate (si riescono a raggiungere valori pari a 8, 9 o anche 10).

Le portate d'aria trattate da queste macchine sono limitate (intorno ai 10000 mc/h) il che le rende maggiormente impiegabili per impianti ad aria primaria e fancoils piuttosto che per impianti a tutt'aria dove spesso sono richieste portate d'aria molto maggiori, ma consentono di avere comunque il controllo dell'umidità utilizzando opportuni optional di umidificazione.

Insomma una soluzione da considerare per risolvere problemi di spazio e di efficienza vista anche l'obbligo del recupero di calore dall'aria espulsa come previsto anche dalla legge (D.L 59/2009).

lunedì 14 maggio 2012

Il "tiro in alto"




Oggi in cantiere si è posto un problema: sollevare una pompa di calore del peso di 400 Kg a 4 metri sopra un soppalco.
Il problema sarebbe anche banale da risolvere, basta avere un sollevatore di potenza adeguata ed un adeguato braccio, ma in questo caso il soppalco si trovava in un cortile a cui si accedeva tramite un corridoio largo un metro che non permetteva il passaggio di macchinari per il sollevamento.


Per risolvere il problema si è ricorsi ad un sistema usato già dagli Antichi Romani.....  il "tiro in alto".
È stato installato un ponteggio di altezza e resistenza adeguate




 
quindi, tramite una carrucola, si è sollevata a mano la pompa di calore fino a posizionarla sul soppalco.
 



 



Le immagini mostrano il lavoro; naturalmente è stata prestata la massima attenzione alla sicurezza.

Lo so che tutto questo non ha nulla di tecnologico e rappresenta un'operazione quasi di altri tempi, vista la presenza in cantiere di macchine di ogni tipo e per ogni necessità, ma proprio per questo, per il fatto che si tratta di un'operazione desueta, ho voluto documentarla.

giovedì 2 febbraio 2012

Microinverter?!?!

Tempo fa avevo sentito parlare dei microinverter nella realizzazione di impianti fotovoltaici e le prospettive che offrivano erano decisamente interessanti.
Questi prodotti sono degli inverter a tutti gli effetti, ma dedicati ad un singolo modulo invece che a gruppi di moduli collegati in stringhe con caratteristiche di tensione e corrente opportune.
I vantaggi di una scelta del genere sono molteplici, ad esempio l'impianto diventa completamente in corrente alternata visto che da ogni modulo, il microinverter a cui è collegato produce direttamente corrente alternata.
Questo comporta, ad esempio, minori costi nei dispositivi di sezionamento e protezione, minori rischi di produzione di archi elettrici e, quindi, di rischi di incendio.
Inoltre ogni modulo è in grado di ottenere le massime prestazioni dall'irraggiamento solare da cui è colpito visto che l'MPPT del microinverter sarà relativo al singolo modulo ed ottimizzato per l'orientamento dello stesso: non ci saranno più rischi di mismatch anche con moduli orientati in modo diverso tra loro (quindi maggiore flessibilità nel posizionamento).
Vantaggio ancora più importante è la possibilità di sostituire un modulo di un impianto anche con moduli di tipo diverso da quelli installati un fase di costruzione, cosa impossibile con impianti realizzati con i classici inverter a cui sono collegate stringhe di moduli tutti esattamente dello stesso tipo (proprio per evitare problemi di mismatch).
Insomma tutta una serie di vantaggi e, a quanto pare, nessuno svantaggio.
Dovendo progettare un impianto su un terrazzo da circa 13 kW ho pensato che poteva essere una buona occasione per testare questa tecnologia, visto che l'impianto presentava alcune zone a rischio ombreggiamento.
Cercando su internet ho trovato tre offerte che potete verificare a questi indirizzi:

http://it.power-one.com/renewable-energy/products/solar/string-inverters/aurora-micro/series
http://enphase.com/
http://www.enecsys.com/

Ho chiesto informazioni a tutti e tre i siti, ma ad oggi non ho ricevuto risposta (sono passati solo un paio di giiorni...), sono però venuto a sapere che il prodotto Power One ad oggi è solo pubblicizzato, ma non verrà commercializzato prima di qualche mese (giugno, sembra...) ad un prezzo intorno ai 140 €.
Ho provato a fare due conti: per il mio impianto da 13 kW sarebbe andato bene, ad esempio, il Power One 12,5 che ha un prezzo (i prezzi di questi oggetti sono estremamente variabili...) intorno ai 3500 €.
Con moduli da 250W servono 52 moduli, quindi 52 microinverter ad un costo totale di 7280 €.
Così sembrerebbe più conveniente il classico inverter, c'è da dire, però che il costo del singolo microinverter potrebbe essere più basso di quello che sono venuto a sapere io, in questo campo, come sa bene chi ci lavora, i costi sono estremamente variabili e dipendono da tanti fattori.
Secondo me anche spendendo qualche migliaio di euro in più potrebbe essere comunque conveniente, tenendo anche conto del risparmio nelle altre attrezzature, della facilità e velocità di installazione e dei vantaggi sopra elencati.
Insomma, rimango con la curiosità.....

Aggiornamento: mi ha risposto la Enphase fornendomi il nome del contatto commerciale su Roma (PVsolar) e la massima disponibilità per eventuali sviluppi di progetti ed un listino per avere un'idea del costo dei sistemi (prezzi più bassi di quelli Power One). A questo punto il costo del progetto è davvero paragonabile a quello con inverter classico. 

venerdì 20 maggio 2011

Pannello solare termodinamico ?!?!

L'altro giorno mi è arrivata una mail pubblicitaria di Edilportale in cui si reclamizzava un pannello solare termodinamico.
Io ero rimasto al termodinamico inteso come impianti a concentrazione in cui il calore immagazzinato ad alta temperatura veniva utilizzato per produrre energia tramite un ciclo termodinamico (Rankine) sfruttando il vapore attraverso una turbina.
Sono rimasto sorpreso quando ho visto che si faceva riferimento a panneli solari leggeri da installare sul tetto di una abitazione, quindi ho cercato qualche informazione in più.
Insomma i pannelli solari non contengono acqua o miscele acqua-glicole, ma 134-A, un gas che è liquido a una temperatura compresa tra -5 e -15 °C.
Già questa prima notizia mi ha fatto venire in mente qualche altra cosa, ma sono andato avanti a cercare di capire.
A questa temperatura questo liquido è in grado di evaporare, e quindi sottrarre calore all'ambiente esterno, praticamente in qualsiasi condizione: al sole, in ombra, con la pioggia di notte.... e lo credo bene!
Una volta evaporato il gas viene compresso tramite un compressore e trasformato in liquido, liquido che viene fatto circolare in una serpentina tramite la quale si cede calore all'acqua che si vuole scaldare, arrivando a temperature anche di 50 °C.
Bello, ho pensato, ma questa non è una pompa di calore????
Insomma si sono inventati una pompa di calore con un evaporatore più grande (i pannelli sono 200x80 cm.) in grado di essere scaldato anche dai raggi solari, ma, come avviene negli evaporatori delle pompe di calore anche dal vento ed anche di notte.
Nelle pompe di calore l'evaporatore è servito da grossi ventilatori che forzano il passaggio di aria attraverso le serpentine in modo da favorire la cessione di calore dall'aria al fluido termovettore.
Il nome di pannelli solari termodinamici deriva, ho letto, dal fatto che il sistema sfrutta il "Secondo principio della termodinamica"... accidempolina, mi sono detto, che trovata geniale...
Insomma, non metto in dubbio che il sistema funzioni, e ci mancherebbe altro, le pompe di calore funzionanno da parecchi anni (quando ci ho fatto la tesi sopra io circa trenta anni fa funzionavano già da un bel pezzo), ma sarebbe stato magari un poco più "serio" dire chiaramente di cosa si tratta senza parlare di sistema innovativo e "miracoloso".
Sarebbe comunque interessante vedere che prestazioni è in grado di fornire e con che costi per capire se è una soluzione effettivamente utilizzabile nella pratica.
Qualche link per leggere un pò di informazioni...
http://www.tea.it/index.php/pannelli-termodinamici/sistema.html
http://www.energia360.org/Pannelli_solari_termodinamici.html

sabato 5 marzo 2011

Un cogeneratore un po' particolare


Giorni fa ho visitato l'installazione di un cogeneratore un pò diversa dal solito.
L'impianto si trova presso il Centro Sportivo del Cus Roma  a Tor di Quinto (Roma) e consiste in un cogeneratore della CPL Concordia da 60 kW elettrici e 120 termici che viene utilizzato, oltre che per produrre una parte dell'energia elettrica necessaria al Centro Sportivo, per riscaldare l'acqua della piscina.



La particolarità di questo impianto consiste nel fatto che il combustibile che alimenta il cogeneratore (un classico motore a ciclo Otto) è gas metano miscelato ad idrogeno.
L'idrogeno è prodotto in loco da un impianto di elettrolizzazione alimentato con l'energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico presente nel Centro.


L'impianto è stato realizzato dell'Università la Sapienza di Roma sotto la direzione del prof. De Santoli e viene utilizzato come laboratorio per verificarne le condizioni di funzionamento con diverse percentuali di idrogeno, fino ad un massimo del 30%.
L'elettrolizzatore utilizza 5 kWh per produrre un Nmc di idrogeno ed il sistema si occupa anche di miscelare l'idrogeno al metano nella percentuale voluta (durante le prime prove stava funzionando al 5% di idrogeno).
Nelle prime prove la temperatura di uscita dell'acqua era limitata a 65 °C e la potenza elettrica a 25 kW con una temperatura dei fumi di circa 450 °C.
Naturalmente il cogeneratore recuperava calore dall'acqua di raffreddamento del motore, dall'olio lubrificante e dai fumi di scarico.
Con la miscelazione dell'idrogeno al metano si abbatte la produzione di CO2 visto che l'idrogeno non genera CO2 mentre brucia, anche se il potere calorifico inferiore della miscela è minore, quindi anche il motore rende meno.
Essendo un laboratorio dell'Università la sua funzione sarà soprattutto quella di verificare il funzionamento di questo sistema e le sue potenzialità, perchè la convenienza di un sistema che usa l'energia prodotta dal fotovoltaico, quando c'è, per produrre idrogeno che viene utilizzato da un cogeneratore per produrre energia elettrica (!?) non mi sembra il massimo della convenienza (a parte la riduzione di CO2).

lunedì 10 gennaio 2011

L'idrogeno nell'autotrazione

Discutevo giorni fa con un caro amico (importante professore nel campo dell'energetica) sulla possibilità di utilizzo dell'idrogeno come combustibile da utilizzare nell'autotrazione.
Ci si riferiva all'uso nelle cella a combustibile, naturalmente, visto che l'uso dell'idrogeno nei motori a combustione interna a ciclo Otto al posto del gas metano non viene più preso in considerazione praticamente da nessuno (ci ha provato la BMW ed ha lasciato perdere ed ora circolano una decina di Fiat Panda alimentate ad idrometano, miscela di metano con il 30% di idrogeno su cui credo sia il caso di stendere un velo pietoso).
Secondo il mio amico la soluzione a celle a combustibile era eccezionale in termini di resa e di convenienza economica.
Gli ho fatto notare che l'idrogeno è un memorizzatore di energia, va prodotto, non si trova in natura e, quindi, per produrlo era necessaria energia elettrica (tralasciamo i reformer) e da qualche parte la dovevamo prendere questa energia per produrre idrogeno che ci sarebbe servito per produrre energia elettrica.... In più c'era il problema della pericolosità dell'idrogeno come gas.
A perte il fatto che secondo lui l'idrogeno non è assolutamente pericoloso (!?!) e poi l'energia elettrica per produrre l'idrogeno si poteva produrre con il fotovoltaico.
Visti le posizioni molto distanti (e visto che si tratta di un caro amico) la discussione è terminata così, però mi è rimasta in testa questa idea del fotovoltaico per produrre l'energia necessaria alla produzione dell'idrogeno e ho voluto provare a fare quattro conti (tanto per tenere in movimento il cervello...).
Ho preso in considerazione un'auto di media categoria con un motore di 75 kW (circa 102 CV); se consideriamo il suo funzionamento a pieno regime (mi si passi qualche approssimazione) se funziona per 2 ore consuma 150 kWh.
Per produrre 1 mc di idrogeno con l'elettrolisi sono necessari circa 5 kWh, mentre il rendimento medio di una cella a combustibile è intorno al 50%.
Questo significa che 1 mc di idrogeno produce in auto circa 2,5 kWh, quindi per viaggiare 2 ore ho bisogno di 60 mc di idrogeno, cioè di 300 kWh di energia elettrica per produrli.
Diciamo che l'auto la uso tutti i giorni dell'anno, avrò quindi bisogno di circa 110000 kWh.
Per produrre questa quantità di energia con un impianto fotovoltaico (in regime di scambio sul posto) in una zona del centro Italia servono circa 80 kWp con una superficie di 560 mq che, in piano occupano circa 1120 mq.
Tralasciamo il costo di un impianto del genere (ed i tempi di ritorno dell'investimento) ma già lo spazio occupato rende la soluzione impraticabile (per un privato).
Magari si può pensare di produrre l'idrogeno con l'energia elettrica prodotta durante la notte e non utilizzata, questo sarebbe un discorso più accettabile, ma rimarrebbero i problemi di stoccaggio o, comunque di infrastrutture da creare ad hoc.
Insomma io la soluzione dell'idrogeno per l'autotrazione la vedo davvero come molto lontana nel tempo (sempre che si metta in pratica), vedo molto più vicina quella delle erev le auto ad autonomia estesa che utilizzano un motore a combustione interna per ricaricare le batterie quando queste  sono scariche.

lunedì 19 luglio 2010

Incentivi e Conto Energia

Sta montando, e c'era da aspettarselo, il problema dei costi troppo alti del Conto Energia, cioè l'incentivo che lo Stato concede a chi installa un impianto fotovoltaico e che è funzione della quantità di energia effettivamente prodotta.
Effettivamente fino ad ora l'incentivo concesso è stato veramente alto tanto da rendere un vero affare, dal punto di vista strettamente finanziario, la realizzazione di un impianto fotovoltaico.
Questo, in un paese come l'Italia, ha portato alle classiche speculazioni con realizzazione di impianti enormi su terreno della potenza di svariati MW; impianti realizzati con il solo scopo di fare cassa con gli incentivi e con la vendita di energia (lo spirito della legge doveva essere un altro...).
Io sono contrario a questo tipo di impianti perché: 1) vanno contro il concetto di "generazione distribuita" di energia, cioè produrre energia dove serve senza trasmetterla in rete su grandi distanze; 2) creano problemi alla rete elettrica nazionale con continui variazioni di grandi potenze (si pensi ad un impianto da 10 MW che passa dal sole all'ombra...); 3) utilizzano il terreno che potrebbe (e dovrebbe...) essere lasciato alle coltivazioni; 4) si mangiano gran parte degli incentivi che vengono tolti agli impianti più piccoli realizzati sulle coperture e per coprire il fabbisogno delle singole utenze (cioè generano il problema della mancanza di fondi di cui si diceva all'inizio).
Con il nuovo Conto Energia, in uscita in questi giorni, la situazione dovrebbe un poco migliorare, visto che, da quello che è dato sapere, gli incentivi dovrebbero diminuire e dovrebbero favorire gli impianti realizzati sulle coperture a discapito di quelli a terra.
Io mi chiedo, però, se non sarebbe stato meglio impostare l'incentivo in modo completamente diverso fin dall'inizio, cioè, invece di dare un incentivo per 20 anni con un valore tale da far ripagare l'impianto in circa 8-9 anni come avviene ora, penso che sarebbe stato più giusto dare un incentivo più alto, magari tre volte tanto, per un periodo più breve.
In questo modo dopo 3 anni l'impianto sarebbe stato ripagato e l'incentivo si poteva limitare a 4 anni, questo avrebbe portato ad un più rapido rientro delle spese ed a un minor costo complessivo per lo Stato.
L'utente avrebbe comunque avuto l'impianto ripagato senza la speculazione legata ai 12 anni di incentivo in più di cui attualmente si usufruisce dopo il rimborso pieno del costo dell'impianto.
Una minore convenienza economica avrebbe evitato le speculazioni rendendo comunque conveniente la realizzazione per un utente che sfrutta l'impianto per coprire i propri consumi.
Ma forse così era troppo semplice.....